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Perché la visione austriaca sulla moneta e sulle banche è così importante

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Questo articolo è adattato dalla prefazione al libro Finance Behind the Veil of Money: An Austrian Theory of Financial Markets di Eduard Braun.

 

xray2Gli economisti classici avevano rigettato l’idea secondo cui l’insieme della spesa monetaria – in gergo corrente: domanda aggregata – fosse una forza trainante della crescita economica. Le vere cause della ricchezza delle nazioni risiedono in fattori non-monetari come la divisione del lavoro e l’accumulazione del capitale tramite il risparmio; la moneta entra in gioco in qualità di intermediario dello scambio, nonché come bene rifugio. I prezzi in denaro sono anch’essi fondamentali per l’amministrazione finanziaria ed il calcolo economico. Purtuttavia, la moneta esprime tutti questi benefici indipendentemente dalla sua quantità: una modesta quantità di denaro permette tali attività esattamente quanto una ingente. Non è quindi possibile tirar fuori una società dalla povertà, o renderla più ricca, incrementando la quantità di moneta. Al contrario, tali obiettivi possono essere raggiunti attraverso il progresso tecnologico, una maggior parsimonia ed una miglior divisione del lavoro o, ancora, mediante la liberalizzazione del commercio e l’incoraggiamento al risparmio.

Gli Austriaci sono i veri eredi degli economisti classici

Per oltre un secolo, la scuola Austriaca di economia ha – quasi da sola – sostenuto, difeso e ridefinito questi concetti basilari. Inizialmente, Carl Menger e i suoi allievi avevano considerato se stessi, così come erano considerati da tutti gli altri, quali critici dell’economia classica. Tale percezione “rivoluzionaria” era corretta relativamente al fatto che gli Austriaci, inizialmente, si trovavano principalmente impegnati nel correggere ed estendere l’impostazione intellettuale dei classici.

A posteriori, tuttavia, è possibile notare più continuità che elementi di rottura: la Scuola Austriaca non intendeva soppiantare l’economia classica con una scienza completamente nuova. Relativamente al messaggio principale dei classici, quello inerente alla ricchezza delle nazioni, gli austriaci sono stati i loro eredi intellettuali: non cercavano di demolire la teoria di Adam Smith da cima a fondo, ma di correggerne i limiti e svilupparla.

Oggigiorno, il messaggio principale dei classici è parecchio fuori moda – probabilmente tanto quanto lo fosse alla fine del diciottesimo secolo. Nell’odierno pensiero economico dominante, la spesa monetaria è il lubrificante nonché il motore dell’attività economica; i risparmi sono considerati come aspetti negativi dell’economia sociale, l’egoistica opulenza dell’ignorante o del malvagio, a discapito del resto dell’umanità. Per promuovere la crescita e combattere le crisi economiche, è cruciale mantenere l’attuale livello di spesa aggregata, possibilmente incrementandolo.

Questa teoria dominante è esattamente quella confutata da Smith e dai suoi allievi. L’economia classica ebbe ragione di quella teoria che Smith definiva “mercantilismo”, ma tale successo ebbe vita breve. Dal 1870 in poi, esattamente nel periodo in cui apparse la Scuola Austriaca, il mercantilismo rientrò in scena – prima lentamente, poi sempre più rapidamente. 1

Negli anni ’30, fu portato in trionfo sotto la leadership di Lord Keynes.

Come il pensiero keynesiano distrusse l’economia

Il neo-mercantilismo, o economia keynesiana, ha devastato le basi del nostro sistema monetario. Mentre gli economisti classici ed i loro eredi intellettuali avevano cercato di ridurre il più possibile la gestione statale della moneta, fino al punto di privatizzarne la produzione, i keynesiani avevano intenzione di porla sotto il pieno controllo statale. Soprattutto, cercavano di rimpiazzare le monete-merci del libero mercato, come argento e oro, con la moneta legale. Come sappiamo, questi tentativi hanno avuto successo. Infatti, dal 1971 l’intera economia mondiale è stata legata al concetto di valuta legale; vieppiù, l’economia keynesiana ha peraltro viziato il pensiero economico. Negli ultimi sessant’anni ha dominato le università del mondo occidentale, prima sotto i nomi di “nuova economia” o “economia keynesiana”, e poi senza alcuna definizione particolare, dato che non avrebbe senso attribuire un nome specifico ad una teoria su cui tutti sono apparentemente d’accordo.

Il ruolo chiave del denaro e del sistema bancario

Nessun’altra area è stata interessata da questa contro-rivoluzione più delle teorie sul sistema bancario e finanziario: dal concetto secondo il quale aumenti nella domanda aggregata tendono nel complesso ad avere effetti economici benefici, a quella correlata per cui la crescita dei mercati finanziari – definita “financial deepening” –finisce per incoraggiare la crescita economica, il passo fu breve. 2
Mentre la tradizione classica aveva sottolineato che “finanziare” un’economia significava fornirle i beni reali necessari a sostenere il lavoro umano durante il processo di produzione, la contro-rivoluzione keynesiana deviò l’attenzione dalle reali fondamenta finanziarie. Agli occhi di questi autori, la finanza si rivelava adeguata soltanto nella misura in cui era in grado di facilitare la creazione di denaro e la conseguente spesa; l’intermediazione finanziaria era utile perché preveniva che i risparmi rimanessero inattivi in inutili scorte di denaro. Ma la finanza non era solo in grado di sostenere ed aumentare la domanda aggregata; poteva soprattutto fare affidamento sulla creazione ex nihilo del credito attraverso le banche commerciali e le banche centrali; forniva alle autorità monetarie nuovi strumenti per gestire eventuali fenomeni inflazionistici, per esempio attraverso i mercati derivati. Inoltre, l’innovazione finanziaria poteva probabilmente invogliare i recalcitranti risparmiatori a impiegare il proprio denaro in attraenti “prodotti finanziari”.

Il giovane e arrogante movimento neo-mercantilista degli anni ’30 e quello del primo dopoguerra non si preoccuparono di confutare le idee classiche in alcun aspetto. La teoria del fondo salari fu spazzata via, anziché venir analizzata e criticata, esattamente come Keynes aveva spazzato via la Legge di Say senza la minima volontà di esaminarla. 3

Di conseguenza, le basi teoretiche finanziarie sono rimaste in uno stato insoddisfacente per molte decadi; una nuova visione della finanza aveva soppiantato quella precedente. Ma davvero questa non aveva alcun merito? La nuova teoria sembrava proprio una novità assoluta. Era vero?

Finance Behind the Veil of Money è una delle primissime esposizioni che cercano di rispondere a queste domande basilari. 4
Immerso nella tradizione della Scuola Austriaca, il Dr. Eduard Braun offre un ampio ed originale saggio sulle fondamenta della finanza. Facendo riferimenti a fonti in tre lingue e investigando a fondo nella storia della teoria del capitale – soprattutto la trascurata letteratura tedesca degli anni ’20 e ’30 – il suo lavoro dà nuova luce ad una gran varietà di argomenti, in particolare sulla storia della teoria del fondo di sussistenza, sulla relazione fra teoria monetaria e teoria del capitale, sull’economia, sul business, sulla contabilità, la teoria dei prezzi e dell’interesse, i mercati finanziari, la teoria del ciclo economico e sulla storia dell’economia.

 Spiccano due risultati conseguiti.

 Nel primo, Braun rievoca la teoria del fondo di sussistenza dal completo oblio in cui era caduta dopo la Seconda Guerra Mondiale, sostenendo che tale teoria è stata confutata senza ragioni pertinenti, e con tragiche conseguenze economiche – sia teoretiche che di policy. In particolare, senza comprendere la natura ed il valore del fondo di sussistenza, non è possibile capire i successivi risvolti del ciclo economico, i fondamenti logico-economici della gestione di un business, o l’interdipendenza fra il piano monetario e quello reale dell’economia.

 Nel secondo, l’autore reinterpreta il ruolo del denaro all’interno della teoria finanziaria: rivisita la teoria del potere d’acquisto della moneta (PPM) e sostiene che una definizione appropriata della stessa ha a che fare soltanto coi prezzi dei beni di consumo, non con quelli dei beni capitali. Il Dr. Braun afferma che la teoria, in questo senso, costituisce il ponte fra la teoria della moneta e la teoria classica del fondo di sussistenza.

 Il suo libro mostra come tale approccio sia proficuo, nonché una promettente base per future ricerche in una varietà di campi contemporanei come l’economia finanziaria, la finanza, la moneta e il sistema bancario, la macroeconomia. La crisi attuale è una devastante testimonianza del fatto che il pensiero dominante in questi ambiti è insufficiente, nonché profondamente fallace. Nel momento stesso in cui i governi e le banche centrali, incoraggiati da economisti accademici, applicano le tipiche politiche keynesiane con ancor più grande determinazione, Eduard Bruan ci invita a compiere un passo indietro e riflettere sul reale senso della finanza. Come i lettori scopriranno, si tratta di tempo ben speso.

Articolo di Jörg Guido Hülsmann su Mises.org

Traduzione di Alessio Cuozzo

Adattamento a cura di Antonio Francesco Gravina

Note

  1. Le riforme scolastiche statali furono un fattore decisivo in tale transizione. Vedi Jörg Guido Hülsmann, “Ludwig von Mises and Libertarian Organisations: Strategic Lessons”New Perspectives in Political Economy, in via di pubblicazione.
  2. Vedi per esempio l’eccellente lavoro di Edward S. Shaw,Financial Deepening in Economic Development (Oxford: Oxford University Press, 1973).
  3. Vedi John Maynard Keynes,General Theory of Money, Interest, and Employment (London: Macmillan, 1973 [1936]), pp. 18-22.
  4. Il più importante autore contemporaneo ad aver sollevato tali questioni essenzialmente dalla stessa prospettiva è George Reisman nel suo Capitalism (Ottawa, Il.: Jameson Books, 1996). È dunque opportuno dire che Braun, come conseguenza del suo interesse sulle basi teoretiche della finanza, si occupa di questo argomento specifico in maniera più sistematica e ben più in profondità.

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